Balbuzie, terapia e ricerca scientifica

Kidd K.K. et al. [1] hanno raccolto dati genetici di 294 maschi  e 103 femmine, con  2035 parenti totali  di primo grado.  I loro dati  confermano un’elevata  concentrazione della causa genetica, o ereditaria.  Secondo gli autori all’interno di tale disordine è rinvenibile una predisposizione verticale, che può essere spiegata  con l’espressione “sesso modificata”.  Anche se le ipotesi  “mendeliane” non sono sufficienti per spiegare la causa genetica, i modelli ereditari più complessi possono fornire sufficienti spiegazioni. 

Kidd e collaboratori, sottolineano che  il 5% dei maschi e il 2% delle femmine balbettano  per almeno sei mesi durante l’infanzia, ma molti bambini recuperano prima che diventino adulti.

Da queste ricerche  sono state escluse le ipotesi culturali: la variabile che  qui viene dimostrata è che la balbuzie sia  un disordine neurologico, geneticamente ereditato. 

Secondo Kidd  la balbuzie rimanda ad  un problema organico di base,  e le  funzioni “secondarie” di questo sintomo, quale la severità, sono esacerbate dagli eventi stressanti. 

Anche se si dimostra la causa genetica,  l’eziologia comunque rimane complessa. 

Contrariamente ai lavori di Kidd, nelle nostre ricerche abbiamo avuto modo di rilevare  che su 100 soggetti che balbet­tano, solo nel 30% dei casi vi sono parenti di primo grado affetti da balbuzie. Dunque, secondo le nostre statistiche l’aspetto  congenito, o ereditario, è parzialmente  dominante nel determinare la balbuzie. Anche Ajuraguerra e Marcelli,  Gutzmann,  Seeman ed altri, confermano la presunta ereditarietà nel 30% dei casi.

Dal punto di vista ereditario, secondo Drayna[2] solo a partire dal 1997, la scienza ha effettuato i primi passi  per isolare il gene della balbuzie.

In chiave genetica, noi siamo sempre più convinti che,  anche se esistono sog­getti iden­tificabili come “portatori sani” del gene responsabile della balbuzie, affinché questo possa esplodere in fenotipo, occorre sempre un’in­terazione tra più fattori: psicologici, emotivi, affettivi, educativi, am­bientali e socio-culturali

Ooki S. [3] in uno studio compiuto in Giappone, esaminando un campione di 1896 coppie  gemellari,  composto da 1849 maschi e da 1943 femmine,  con età media di 11,6 anni (dai 3 ai 15 anni), riporta una  prevalenza di balbuzie nel 6,7% dei maschi e nel 3,6% della femmine,   riscontrando una varianza fenotipica  attribuibile alle influenze genetiche tra l’ 80% nei maschi, e l’85% nelle femmine.

Per ciò che concerne la remissione della balbuzie in soggetti molto piccoli, secondo Brosch S. et al.[4]pur non essendo possibile far alcuna  previsione,sembra che tale recupero sia collegabile al raggiungimento di una buona dominanza emisferica, con un buon uso della manualità.

I risultati delle neuroscienze.

Nelle ricerche di Biermann-Ruben e collaboratori[5] , basate sull’elettroencefalogramma  (MEG) , mediante l’ascolto di stimoli linguistici, in soggetti balbuzienti è stata  studiata l’attivazione della zona rolandica. Le conclusioni dei ricercatori hanno messo in luce  un’attivazione supplementare nella spettrografia delle aree cerebrali. Questa maggiore attivazione è stata verificata sia nella produzione, che nella elaborazione del linguaggio. Altre anomalie sono state riscontrate anche  nella quantità e nella sincronizzazione di queste zone. 

Anche per i ricercatori Sommer M. et al. [6] , il disordine potrebbe essere collegato ad una ridotta dominanza emisferica di sinistra, dove i dati neuroimaging  suggeriscono una sovrastimolazione nell’ emisfero destro, che riflette un meccanismo compensativo, analogo a ciò che avviene  nell’afasia.

I  ricercatori Lutz et al. hanno  trovato un aumento di  volume di WM (materia bianca) nella rete dell’ emisfero destro.  Le conclusioni di questi risultati forniscono la prova ben fondata che gli adulti, con balbuzie conclamata, hanno un’anatomia anomala non soltanto nelle zone perisilviane  deputate al  linguaggio,  ma anche nelle zone prefrontali e sensomotorie. 

Tuttavia, secondo gli autori, anche se sono state rintracciate  ampie differenze morfologiche fra i due campioni (balbuzienti e non),  non  si potrà mai escludere  la possibilità di considerare  le differenze anatomiche come conseguenza della balbuzie, piuttosto che la causa.  Gli autori presumono che, con l’esordio della balbuzie, il cervello dovendo  far fronte a questa nuova situazione, ricerca un certo genere di adattamento,  o di riorganizzazione corticale.

Per Lutz et al, il PDS (balbuzie secondaria, o conclamata)  è un disordine molto frequente,  presente nell’ 1% della popolazione.

Negli Stati Uniti  vi sono circa 3 milioni di disfluenti,  e nel mondo se ne conteggiano circa  55 milioni .  La prevalenza del disordine è simile in tutte le classi sociali. 

Per Lutz et al., quando un bambino comincia a balbettare,  il relativo tasso di recupero è di  circa l’80%. La remissione del sintomo è considerevolmente più frequente nelle ragazze che nei ragazzi, dove le prime hanno 4 possibilità su una (contro il maschio) di poter recuperare un linguaggio fluente. 

Se è vero che  tutti i bambini balbuzienti sviluppano un’anomalia strutturale durante lo sviluppo,  sarebbe allora molto importante che la terapia cominci già in tenera età per ottenere un  effetto maggiore nel normalizzare questa anomalia.


[1] Kidd K. K, Heimbuch R. C., e Records M. A., Vertical transmission of susceptibility to stuttering with sex-modified expression, Proc.  Acad Nazionale.  Sci.  Volumi 78, no. 1, pp 606-610, 1981

[2] Drayna D.T. , Genetic linkage studies of stuttering: Ready for prime time?, in Journal of Fluency Disorders, USA 1997 Aug,  Vol. 22 (3).

[3] Ooki S., Genetic and environmental influences on stuttering and tics in Japanese twin children, Department of Health Science, Ishikawa Prefectural Nursing University, Kahoku, Ishikawa, Japan, Twin Res Hum Genet. 2005 Feb;8(1):69-75.

[4] Brosch S, Haege A, Kalehne P, Johannsen HS., Stuttering children and the probability of remission–the role of cerebral dominance and speech production, Section of Phoniatrics and Pediatric Audiology, University Otorhinolaryngology Clinic, Ulm, Germany., Int J Pediatr Otorhinolaryngol. 1999 Jan 25;47(1):71-6.

[5] Biermann-Ruben K, Salmelin R, e  Schnitzler A., Right rolandic activation during speech perception in stutterers: a MEG study, Department of Neurology, MEG Laboratory, University of Duesseldorf, Germany, Neuroimage. 2005 Apr 15;25(3):793-801.

[6] Sommer M, Koch MA, Paulus W, Weiller C, Buchel C., Disconnection of speech-relevant brain areas in persistent developmental stuttering, NeuroImage Nord, Department of Neurology, University of Hamburg, Hamburg, Germany. Lancet. 2002 Aug 3;360(9330):380-3.

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